Parrocchia di San Zenone

Passirano che non era stato ne pago romano e nemmeno stazione di posta, ma soltanto un vico bornatese, sviluppò solo molto più tardi la fede in Cristo portata prima da Brescia, allora uno dei centri maggiori della Lombardia, se non il maggiore, verso i pagi, poi da questi ultimi, e quindi anche da Bornato, verso i vici. Bornato era perciò sede di una pieve che si estendeva fino a comprendere le chiese di Passirano, Paderno, Monterotondo, Ospitaletto, Cazzago S.M. e Calino, mentre Camignone e Valenzano dipendevano dalla pieve iseana.
Sappiamo già che Passirano non era mai stato importante, vissuto all’ombra del pago bornatese era forse addirittura scomparso durante gli anni delle invasioni barbare, e se sopravvisse fu solo per la presenza del castello attorno al quale si raccoglievano poche cascine.
Una volta estromesso il paganesimo anche dalle campagne e stabilizzatosi il cristianesimo come unica religione, anche gli abitanti sperduti nelle campagne sentirono il bisogno di appoggiare la propria fede anche su qualcosa di tangibile, su qualche luogo che potesse ricordare loro l’esistenza di un Dio protettore e padre. Cominciarono in tal modo a sorgere le prime cappelle e chiesuole dedicate alla memoria dei santi popolari o più propagandati nella plaga. Uno di questi santi era San Zeno, il cui culto, diffusissimo in tutta la pianura bresciana era stato importato da dei monaci pellegrini provenienti dalla vicina Verona che in brevissimo tempo infiammarono le plebi bresciane. Così, colpiti dalle virtù del Santo, quei pochi passiranesi costruirono una chiesa a lui dedicata dove potersi riunire in preghiera senza dover raggiungere Bornato.

 

La chiesa sorse ai confini settentrionali della contrada Piazze ed era orientata, come la maggior parte dei templi dell’epoca, con l’altare maggiore e il coro volti a mattina, mentre l’ingresso, sul lato opposto, guardava a occidente. Questa chiesa, della quale rimane solamente un muro perimetrale addossato alle case coloniche, come l’altra, di San Pietro, di cui parleremo sotto, era in pratica filiazione della pieve bornatese e da quella provenivano i sacerdoti che officiavano i riti sacri nei giorni di festa. Divenne, ovviamente, il luogo di culto per i passiranesi del comune di sera che poi si sviluppò nelle altre contrade che tuttora suddividono il paese e, ingrandita per fronteggiare crescenti necessità, arriverà a possedere tre altari dei quali ci rimane la descrizione grazie alle visite pastorali dei vescovi nei secoli successivi.
L’altar maggiore, dedicato a San Zeno, era abbellito da una pala raffigurante il Santo e la Vergine; il secondo era dedicato alla Vergine, il terzo serviva alla scuola del SS.mo Sacramento, e decorato anch’esso con una pala raffigurante l’ultima cena, tela di Stefano Viviani, datata 1616, che farà da modello per il dipinto del Guadagnini e ancora esistente nel 1950, ma di cui si sono perse le tracce.
A sud vi era la canonica con il campanile e l’orto, mentre a nord si situava il piccolo cimitero. La canonica, che ora sopravvive in qualche misura nelle case coloniche, nel 1580 ebbe anche l’onore di ospitare San Carlo Borromeo, vescovo di Milano, in visita pastorale alla diocesi di Brescia.
Meno antica di San Zeno era l’altra cappella passiranese, dedicata a San Pietro, che serviva agli abitanti del minuscolo Passirano mattina, gravitanti attorno al secondo castello e con dipendenze anche dal monastero di Rodengo.
Di essa non rimane praticamente nulla anche se le case della via C. Bianchi, al n. 16, sembrano inglobare una parte di essa tra cui la sagrestia e sotto al porticato presentano ancora una nicchia tipica delle chiese. Sorgeva in località detta Novagli, termine indicante una terra incolta che, per essere tale, apparteneva di diritto al Vescovo e a questo proposito sul bollettino parrocchiale del 1930 viene segnalato come parrocchia la Passirano continuasse a pagare alla Curia vescovile bresciana qualche lira di livello, ossia si affitto annuo.
La chiesa sorgeva a nord della strada comunale per Brescia e, sebbene più piccola di San Zeno, aveva anch’essa tre altari: il maggiore dedicato ai Santi Pietro e Paolo, il secondo alla Vergine e il terzo per la scuola del Corpus Domini. Sul fianco meridionale sorgeva il cimitero mentre a nord stava il piccolo brolo coltivato a vite.
La dipendenza diretta di queste due chiese dalla pieve bornatese durò a lungo, in pratica fino al termine del 1300 quando, sia per il decadere della supremazia plebana del vicino comune, sia per la raggiunta autonomia politica ed amministrativa del paese, gli abitanti dei due borghi passiranesi ormai numerosi, chiesero ed ottennero l’emancipazione delle due cappelle, costituitesi inizialmente in beneficio clericale, come risulta dalle annotazioni sul catalogo capitolare all’anno 1410, e successivamente in beneficio parrocchiale, segno questo che per un certo tempo l’autonomia da Bornato rimase alquanto limitata, sebbene già dal 1385 la chiesa di San Zenone pagasse al vescovo di Brescia una libbra di cera all’anno, il che, a mio parere, dimostrerebbe la sua effettiva condizione di chiesa parrocchiale.
Il primo dei parroci nominati pare che sia Giovanni di Tommaso di Bulgaro nel 1373 ed era tenuto ad alternare gli uffici religiosi presso le due chiese risiedendo alternativamente nelle due canoniche e godendo per il proprio sostentamento e per la cura delle chiese dei benefici provenienti da entrambe.
Questa equidistanza e, se così possiamo dire, questa “neutralità”, come vedremo, non durò a lungo e già ai primi anni del Cinquecento la chiesa di San Zeno venne ad assumere un’importanza più grande, forse perché meglio strutturata o più ricca, sicuramente perché più popolosa; dimodoché il parroco finì per abitare stabilmente in San Zeno tenendo, inevitabilmente, a trascurare l’altra chiesa, con quali conseguenze lo vedremo poi.
Comunque ciò che vale la pena di sottolineare è che due diversi comuni e due diverse parrocchie si fossero affidate ad un unico sacerdote, forse per la scarsità di sacerdoti in diocesi o più probabilmente la decisione fu influenzata dal fatto che i due villaggi non erano dotati di benefici, ossia di rendite parrocchiali, sufficienti, se presi singolarmente, a consentire un decoroso sostentamento per due diversi sacerdoti.

La storia